Agressività e violenza nello sport

Position statement dell'International Society of Sport Psychology (ISSP)

Tanenbaum G., Steward E., Singer R.N. e Duda J.
International Journal Sport Psychology - 1996 - 27,229-236


L'aggressività è da tempo parte dell'ambito sportivo; nello sport, infatti, l'aggressione interpersonale non solo è tollerata, ma è anche da molti approvata con entusiasmo.
Negli anni recenti però la violenza in campo e fuori degli stadi è diventata un problema sociale rilevante che vede protagonisti non soli atleti, ma anche allenatori e spettatori. Dal punto di vista teorico l'aggressione è definita come comportamento ostile che si esprime a livello fisico, verbale o gestuale con l'intento di recare danno ad altri. La violenza è riferita specificamente alla componente fisica dell'aggressione e, nello sport, si manifesta con infrazione del regolamento.
Il comportamento assertivo, invece, si realizza nel rispetto delle regole; l'atleta cerca di dominare l'avversario senza l'intento di arrecargli danno ed utilizza mezzi leciti per conseguire i suoi obbiettivi. Il placcaggio nel rugby, ad esempio, va visto come comportamento assertivo se attuato senza malizia e nel rispetto delle regole del gioco; si configura al contrario come atto di violenza se le regole sono infrante o se l'intenzione è di arrecare danno all'avversario. L'aggressione è principalmente un comportamento appreso, risultato dell'interazione dell'individuo con il suo ambiente sociale. Tende a manifestarsi nell'atleta quando le aspettative di rinforzo, che possono derivare dall'allenatore, dai genitori, dai compagni di squadra sono elevate, mentre le attese di punizione sono basse o gli effetti delle sanzioni sono modesti. Un penalty non grave, ad esempio, non costituisce un disincentivo sufficientemente forte in grado di prevenire la ripetizione di comportamenti illeciti.
Le attese di rinforzo (o punizione) per atti ostili possono derivare da precedenti rinforzi (o punizioni) o dall'imitazione di altri. Infatti, una delle cause principali del comportamento aggressivo è il rinforzo vicario che si ottiene dall'osservazione di altri (atleti famosi, allenatori, compagni) nel commettere atti ostili ed essere premiati o gratificati. Le persone, viceversa, sono meno inclini ad assumere comportamenti che in altri sono puniti. La ricerca ha inoltre dimostrato che quando gli atleti attribuiscono eccessiva importanza alla sconfitta dell'avversario, piuttosto che porre attenzione al miglioramento personale e al perfezionamento tecnico, sono più disposti all'inganno e a percepire come accettabili comportamenti devianti. Sfortunatamente molti atleti e allenatori sono convinti che l'ostilità sia necessaria per vincere. Benché talvolta l'aggressione possa portare alla vittoria, ciò non è accettabile sul piano etico ed umano. In termini di risultato poi, l'atleta che mira a danneggiare l'avversario non è concentrato sul compito e la sua prestazione tende a decadere. In definitiva, sono inaccettabili oltre che svantaggiosi, comportamenti che non hanno relazione con gli obiettivi competitivi di uno sport specifico e che siano finalizzati ad arrecare danno ad altre persone sul piano sia fisico sia psicologico.
Comportamenti assertivi, al contrario, si svolgono all'interno delle regole e fanno parte dello sport.

Al fine di ridurre l'incidenza dell'aggressione e della violenza nello sport, l'ISSP raccomanda di:
  • Revisionare i regolamenti delle discipline sportive affinché i comportamenti che violano le regole siano puniti severamente: gli effetti svantaggiosi della punizione devono superare i potenziali vantaggi che deriverebbero da un atto illecito;
  • Enfatizzare il fair play, un codice di condotta eticamente corretto che gli allenatori, in particolare dei giovani, dovrebbero far proprio e far rispettare;
  • Non dar spazio eccessivo al commento degli episodi violenti. I mezzi d'informazione tendono ad enfatizzare notizie sensazionalistiche amplificando gli episodi di violenza, promovendo così involontariamente comportamenti emulativi devianti. Gli episodi isolati di violenza vanno invece ridimensionati e trasmessi dai media senza enfasi;
  • Promuovere campagne contro la violenza che vedano coinvolti atleti, allenatori, dirigenti, arbitri e spettatori;
  • Informare allenatori, dirigenti, atleti, giornalisti, arbitri e personale di pubblica sicurezza sui temi della violenza discutendone le ragioni, i costi, le norme di prevenzione e controllo;
  • Insegnare agli arbitri strategie di controllo dell'attenzione, dello stato d'attivazione e dello stress.Attraverso una conduzione competente di gara si riducono errori che potrebbero infiammare atleti e spettatori;
  • Incoraggiare comportamenti sociali fra gli atleti e punire chi non si attiene alle regole;
  • Educare gli atleti al controllo comportamentale. Regole più severe, punizioni più decise, disapprovazione sociale pur essendo necessarie non sono da sole, sufficienti a contrastare la violenza nello sport. E' l'atleta, in definitiva, che deve assumere consapevolezza e responsabilità del proprio comportamento;
  • Predisporre spazi e servizi appropriati per gli spettatori;
  • Proibire in occasione di manifestazioni sportive il consumo di bevande alcoliche che tendono a disinibire comportamenti violenti negli spettatori.